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pani e focacce

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In un sito preistorico in Giordania abitato da cacciatori-raccoglitori appartenenti alla cultura natufiana sono stati scoperti recentemente resti carbonizzati di antichissime focacce fatte con gli antenati selvatici di cereali poi domesticati: orzo, farro, avena che erano stati macinati, setacciati, impastati e poi cotti. La scoperta è eccezionale per l’epoca a cui risale il’insediamento, 14 mila anni fa, diversi millenni prima della diffusione dell’agricoltura. Probabilmente la consuetudine di nutrirsi di tali alimenti stimolò in seguito proprio la loro coltivazione e la selezione delle varietà più adatte.

I cereali macinati e cotti diventarono l’alimento principale per le antiche popolazioni di agricoltori. La civiltà dell’antico Egitto prosperò proprio grazie alla coltivazione dei cereali nelle fertili terre sulle sponde del Nilo.

Statuetta di donna che macina il grano risalente alla V dinastia dell’antico Egitto (2465-2323 a.C.)

Anche nella dieta degli antichi romani i cereali erano fondamentali, ma il pane fu conosciuto solo nel corso del II secolo a.C. Prima di allora consumavano il farro soprattutto come puls, una sorta di polenta ottenuta facendolo bollire nell’acqua dopo averlo macinato e tostato. Sempre con il farro macinato si confezionavano focacce. Io ne ho parlato qui.

Le focacce di farro, sorta di piadine, erano soprattutto utilizzate come piatti, ne parla Virgilio nell’Eneide, quando Enea e i compagni spinti dalla fame divorano anche le mense.

Enea e i primi capi e il leggiadro Iulo

distendono i corpi sotto i rami d’un alto albero:

imbandiscono le vivande e fra l’erba sottopongono ai cibi

focacce di frumento (così Giove ispirava)

e ricolmano il piatto cereale con frutti selvatici.

Allora divorano il resto, quando la penuria di cibo

spinse a volgere i morsi della pasta sottile di Cerere

e a violare con la mano e con audaci mascelle il cerchio

della fatale focaccia e a non risparmiarne i larghi riquadri,

“Oh, divoriamo anche le mense” esclamò Iulo, scherzando.

(Virgilio, Eneide VII, 106-117)

Il grano (Triticum sp) fu introdotto solo nel IV secolo a.C. Per secoli il pane fu prodotto solo dalle donne di casa, al tempo di Augusto ogni maschio adulto che fosse cittadino romano e residente aveva diritto alla distribuzione gratuita di 5 moggi di grano al mese (circa 35 Kg). Il grano veniva dalla Sicilia, dalla Sardegna e dall’Africa.

Con l’aumentare della popolazione a partire dal II secolo a. C. si cominciarono ad aprire i forni o pistrina dove si macinava il grano, si confezionavano e si vendevano i pani.

Per millenni i fornai continuarono a produrre il pane per la popolazione, il sepolcro del fornaio Eurisace fuori Porta Maggiore risalente al I secolo a. C. è ancora oggi ben conservato ed imponente e ci testimonia la ricchezza e l’influenza dei pistores.

Il sepolcro del fornaio Eurisace

Nel medioevo questa categoria formò potenti e ricche corporazioni, nei piccoli paesi però, fino a tempi recenti, le donne continuarono a impastare il pane per la propria famiglia come faceva mia nonna fino agli anni ’60. Una volta alla settimana si svegliava alle 4 di mattina, impastava utilizzando la pasta madre, faceva lievitare e poi portava al forno pubblico insieme alle pizze dolci per noi bambini. La pasta madre, che è immortale, passava di mano in mano, le veniva data da una vicina e lei a sua volta ne teneva da parte un po’ per darla alle altre donne che impastavano in giorni diversi.

Ricostruzione di un forno a Celleno (Vt)


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