“Anch’io non amo gli anglicismi soprattutto quando sono inutili, quando l’abuso è ingiustificato. RAI Educational, spending rewiew, spread invece di differenziale.
La lingua non è semplicemente uno strumento di comunicazione funzionale, è anche un’arma. Padroneggiare la lingua è una cosa che ha a vedere con la nostra presa sul mondo.” (Tullio De Mauro)
(Andrea Camilleri, Tullio De Mauro, La lingua batte dove il dente duole, Laterza)
Negli ultimi decenni le parole inglesi usate dai media italiani si sono moltiplicate, spesso sono termini di cui si fa fatica a capire la necessità, perchè l’equivalente italiano è ben presente, chiaro e comprensibile. Spesso il problema è proprio quello, il termine deve essere poco comprensibile come nel caso di jobs act o spoils sistem.
In tanti altri casi siamo proprio sicuri che usare l’inglese ci faccia sembrare più colti e alla moda? Non sarà invece che siamo solo più patetici anche perchè se una percentuale consistente di italiani conosce solo un numero limitato di parole della propria lingua a maggior ragione ignorerà il significato di quelle inglesi di cui si riempie la bocca.
Forse dovremmo fare tutti uno sforzo per sostituire alle dilaganti parole anglosassoni le equivalenti italiane. E così invece di account si può dire meglio profilo o registrazione, il backstage è dietro le quinte, il car sharing sempre autonoleggio è, step by step è passo dopo passo e ticket è sempre un biglietto! E che dire dell’orribile stepchild adoption abusato per settimane da politici e stampa ed ora dimenticato, andava benissimo adozione del figlio del compagno.
Potrei continuare ancora per molto perché ogni giorno ci sono nuovi esempi di questo vezzo deleterio, in verità vecchio di millenni se anche gli scrittori dell’antica Roma se ne lamentavano!
Utile per aiutarci può essere il libro di Antonio Zoppetti “L’etichettario, dizionario di alternative italiane a 1800 parole inglesi“ Franco Cesati Editore, che ho trovato divertente e facile da consultare.