“Un vuoto spaventoso, punteggiato qua e là di vecchi soli e badanti straniere. In Africa, anche in pieno deserto, c’è sempre qualcuno sulla strada. Qui no. Senti che la vita è altrove. L’uomo pare estinto come l’elefante di Annibale. Improvvisamente mi accorgo di viaggiare in uno spazio incomparabilmente più ancestrale e arcano delle Alpi. Queste non sono montagne bomboniera. Niente alberghi a cinque stelle, niente gerani alle finestre. Solo locande anni cinquanta con le fotografie di Bartali, il manifesto dell’assemblea dei cacciatori e qualcosa di balcanico nell’aria…
… Appennini arcani, spopolati, dimenticati, nonostante in essi si annidi l’identità della nazione”
(Paolo Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti”, Feltrinelli)