Nella nostra campagna dove da sempre si produce l’Orvieto classico, vecchi alberi di sorbo, olmi e aceri hanno ancora al piede il residuo di grossi tronchi di vite.
In qualche caso gli alberi sono ancora usati dai vecchi contadini come sostegno per la vite.
L’uso risale nientedimeno che all’epoca degli Etruschi che introdussero la coltivazione della vite nei nostri territori centro-settentrionali nei secoli VIII-VII sec a.C. Fin dai quei tempi le viti erano sostenute da alberi di diverse specie, con la tecnica detta della “vite maritata” o “a tutore vivo”, a differenza di quello che era stato fatto fino ad allora nella Magna Grecia in cui le viti erano più legate a un basso paletto o ceppo (a tutore morto).
Le popolazioni celtiche che si insediarono dal IV sec. a.C. nei territori della pianura padana adottarono le tecniche etrusche e maritarono anche loro le viti agli alberi, forma colturale che i romani chiamarono arbustum gallicum. Varrone narra che nella zona di Mediolanum (l’odierna Milano) le viti si appoggiavano agli aceri e i tralci si estendevano come festoni da un albero all’altro.
Nelle aree umide del padovano erano invece accoppiate al salice come narra Plinio il Vecchio (I sec. d. C.). Altri alberi utilizzati erano olmi, querce, frassini ed anche fichi e olivi.
La pratica continuò nel medioevo, gli alberi oltre che da sostegno servivano come fonte di legname e di fronde per l’alimentazione del bestiame.
Alla fine del XIX sec. cominciò il lento abbandono della vite maritata, oggi sono diventate molto rare, ma ne rimangono ancora tracce nel territorio. In alcuni casi le vecchie viti sopravvissute e non più potate si sono arrampicate sempre più in alto a cercare la luce.
