Questo mese è il turno di Elena che nel suo blog anche oggi non ho vissuto per niente ha proposto questo tema bellissimo ma difficile, di quelli che ti fanno pensare e ripensare per giorni e giorni.
In queste mie riflessioni mi sono chiesta che senso avesse per me questa parola che indica la fortuna di fare scoperte inaspettate e felici per puro caso, mentre si cerca altro.
Quali sono state per me le scoperte più significative? Difficile dirlo, perché ogni viaggio, anche quello più programmato, riserva sorprese e poiché i nostri sono sempre piuttosto improvvisati ci succede spesso di fare delle scoperte piacevoli ed inaspettate: la chiesetta che nasconde tesori sconosciuti, il piccolo borgo cui si arriva per caso sbagliando strada e che svela scorci e architetture preziose, il fiore bellissimo e raro che incontri camminando su un sentiero di montagna, l’imboccatura di una grotta che lascia immaginare un percorso misterioso e ricco di sorprese.
La nostra passione per le scienze naturali mi ha portato a scegliere queste foto fra le scoperte più inaspettate e felici, che ci hanno entusiasmato ed emozionato.
Le prime sono conchiglie fossili, trovate per caso nei campi. Sono vissute e morte circa due milioni di anni fa, sono state sepolte da strati di sabbia e fango e il dilavamento del terreno le ha riportate in superficie e noi prendendole in mano siamo riportati vertiginosamente indietro nel tempo, sul fondo di quello che allora era un mare poco profondo, popolato da animali ormai estinti. Mio figlio geologo quando le raccolse mi disse: “Ci pensi che sono venute alla luce dopo 2 milioni di anni?”
La seconda foto è ancora più emozionante. Nella campagna di Altamura in Puglia cercavamo le gravine e ci siamo imbattuti in una cava abbandonata i cui scavi avevano fatto emergere un’enorme area pianeggiante in cui sono evidenti decine di migliaia di impronte lasciata da moltissime di specie di dinosauri che 70-80 milioni di anni fa passeggiavano e pascolavano su quello che allora era un banco tropicale di acque basse dal terreno fangoso ricoperto da un tappeto di alghe.
L’eccezionale stato di conservazione e il numero di specie identificate ne fanno uno dei siti paleontologici più ricchi al mondo, ma è completamente abbandonato e non segnalato, lo si può scoprire solo per caso e con un pizzico di fortuna.
Siamo rimasti un tempo indefinito a vagare su quel terreno scoprendo sempre nuove orme, nitide e chiare, alcune percorrevano un lungo tratto, altre si intersecavano. Impossibile non allontanarsi con la fantasia dalla cava nel paesaggio invernale dei giorni nostri e immaginare l’acqua bassa, calda e melmosa, resa viscida dalla grande quantità di alghe, il sole cocente di 80 milioni di anni fa, i colori vividi, il rimestìo, lo sciaguattare, i versi, i passi pesanti dei bestioni che si aggiravano in quell’ambiente strappando grosse boccate di alghe.
Lo studio del giacimento ha portato i paleontologi dell’Università La Sapienza di Roma a rivedere le ipotesi sulla conformazione della regione nel tardo Cretaceo, suggerendo che potesse essere una sorta di penisola attaccata da una parte alla piattaforma istriana e dall’altra al continente africano all’altezza della Cirenaica. La nostra penisola non esisteva ancora e gli esseri umani, la cui specie ha solo 150-200 mila anni, erano avvolti nelle nebbie di un futuro remotissimo.
La cava è attualmente abbandonata ed esposta al degrado. Per la sua salvaguardia si è formato un Comitato cittadino che ha redatto una petizione e raccolto centinaia di migliaia di firme da tutto il mondo.
Uscendo dalla cava il paesaggio della campagna intorno che ci si è presentato è stata un’altra sorpresa: le ferule secche che si stagliavano contro un cielo invernale hanno prolungato la sensazione di essere in un tempo remoto e magico.