Per questo appuntamento con “Il senso dei miei viaggi” di Monica sono un po’ in difficoltà. “Sacro“, se si cerca sul dizionario si trova: “Che si riferisce o appartiene alla divinità; che riguarda la religione o il culto” ed io diciamo che sono molto terrena. Poi però lo stesso dizionario dà anche le altre interpretazioni e forse posso accostarmi a “inviolabile, intoccabile; degno di rispetto, di onore, di venerazione” “che incute un senso di riverenza quasi religioso“, (Dizionario Garzanti della lingua italiana).
Bene, ci provo. Cosa mi incute riverenza e rispetto?
Sicuramente le montagne fra cui vado sempre volentieri. Quando faticosamente raggiungo una cima e da lì osservo un panorama a 360°, non mi sento il mondo ai miei piedi, ma quel che vedo mi riempie di rispetto per la natura, di ammirazione ed anche di timore per la forza che quella natura può scatenare e mi sento una ben piccola cosa di fronte alla grandezza di ciò che ho intorno ed ai segni che i millenni hanno lasciato. Il silenzio, rotto solo dal vento e dal grido di qualche rapace è sicuramente sacro. Fra tutte scelgo la foto della montagna più alta d’Europa: il Monte Bianco. Non sono salita lassù con le mie gambe, non è nelle mie possibilità, ma la sensazione che si ha lassù è veramente di riverenza, penso che possa entrare nella sfera del sacro.
La seconda foto rappresenta il Perda ‘e Liana il più imponente tacco dell’altipiano calcareo sardo, al confine fra Barbagia e Ogliastra, che con i suoi 1293 metri si erge ed è visibile da grande distanza. La parte superiore è un torrione cilindrico alto 50 m dalle pareti verticali. Anche questa volta è una cima che mi evoca il termine sacro. Le stesse sensazioni doveva suscitare negli esseri umani che abitarono quei luoghi nella preistoria, fin dal III millennio a.C. Questa enorme torre che si eleva verso il cielo era un luogo sacro per gli antichi popoli nuragici. I luoghi elevati, impervi, che puntano verso il cielo hanno sempre ispirato negli esseri umani di ogni tempo e latitudine il senso del sacro.
Cosa ci può essere di maggiormente degno di rispetto e di onore del dolore di una madre cui hanno ucciso il figlio? Questo dolore è di nuovo veramente quello che considero sacro. Per la terza foto scelgo questa scultura di Francesco Ciusa che esprime con intensa emozione ed efficacia tutta la disperazione di questa madre che si è chiusa in se stessa ed è rimasta come impietrita.