
L’antica via Latina collegava Roma con Capua seguendo un tracciato preistorico che attraversava il Lazio meridionale interno e che era stato un percorso di importanza fondamentale per i collegamenti commerciali fra i diversi popoli italici. Fu utilizzata dagli Etruschi per colonizzare la Campania fra i secoli VIII e VI a. C.
I Romani la tracciarono definitivamente durante le guerre sannitiche, dopo aver sconfitto la Lega Latina che volevano così controllare. Costituiva un’alternativa alla via Appia da cui si diramava poco dopo il suo inizio. In epoca imperiale iniziava da Porta Latina, una delle numerose aperture nelle Mura Aureliane. A Casilinum (Capua) si congiungeva con l’Appia.
Ai lati della via furono costruiti edifici, botteghe e tombe monumentali, era inoltre costeggiata da ben sei acquedotti: l’Anio vetus, L’Anio novus, L’Aqua Marcia, Tepula, Claudia, Iulia.
Nel medioevo la via era ancora molto utilizzata; al III miglio nel V secolo il papa Leone Magno fece costruire la basilica di Santo Stefano protomartire che attirava molti pellegrini. Restò in uso fino al XIV secolo, poi fu sostituita nel primo tratto dalla Labicana e dalla via Tuscolana; il tratto successivo fu invece sostituito dalla Casilina.
Nel tardo medioevo era ormai un lembo di campagna romana, con le ampie distese verdi, i resti monumentali degli acquedotti, i casali sparsi, chiese, torri, mulini. Era attraversata dall’Acqua Mariana, un corso d’acqua proveniente dai Colli Albani, la cosiddetta “Marrana” o Marana. Ancora oggi il termine marrana a Roma viene usato per fossi e corsi d’acqua che ancora solcano le periferie.
Questo paesaggio si è conservato intatto fino al secondo dopoguerra quando l’espansione edilizia della città ha comportato la cementificazione di quello che era campagna e la distruzione dei resti archeologici presenti lungo l’antica via.
Il Parco Archeologico delle Tombe Latine rientra nel Parco regionale dell’Appia Antica e conserva una parte di questo patrimonio archeologico e paesaggistico. Nel 1879 il demanio acquisì una vasta area in cui le indagini archeologiche avevano portato alla luce numerose tombe e la basilica di Santo Stefano.
La grande area del parco è recintata e a ingresso libero, si entra in via Arco di Travertino e ci si trova sulla direttice dell’antica via della quale affiorano tratti del basolato.
Poco oltre l’ingresso diversi sepolcri fra cui il sepolcro Barberini del II secolo d. C., così chiamato dalla nobile famiglia proprietaria del terreno prima dell’acquisizione da parte dello Stato; in realtà luogo sepolcrale della famiglia dei Corneli

La struttura originaria a due piani, più uno interrato, si è conservata bene e si possono osservare le decorazioni architettoniche in cotto che un tempo erano dipinte a vivaci colori.
Un altro sepolcro notevole è quello cosiddetto dei Valeri che si incontra continuando lungo il basolato della via. Anche questo è del II secolo d. C. ma è stato ricostruito nell’ottocento utilizzando parti degli elementi architettonici della struttura antica.

Proseguendo ancora lungo la direttrice della via si incontrano i resti della basilica di Santo Stefano in cui continuano ancora i lavori di scavo.
Il complesso è molto gradevole, tranquillo ed evocativo di quello che doveva essere la campagna romana per tanti secoli ed ancora a fine ottocento. Per accedervi attualmente è necessario il green pass.