Senza il Tevere e la sua isola Tiberina Roma non sarebbe sorta in quel punto, dove il fiume era guadabile; nel vicino Foro Boario si radunavano i pastori per vendere i propri animali e altri prodotti agricoli già prima della fondazione della città. Nella palude che il fiume Velabro, affluente del Tevere, formava prima della confluenza, la leggenda vuole che fosse stata trovata la cesta con i piccoli Romolo e Remo.
La prima città fu fondata sulla sua riva sinistra, dove si trovano i suoi famosi sette colli; solo nel Medioevo si cominciò ad abitare oltre Tevere. Il fiume servì da linea di confine e sbarramento e come via di trasporto per le merci. Nel Medioevo, dopo il taglio degli acquedotti da parte dei barbari, servì come approvvigionamento di acqua potabile e come motore per i mulini galleggianti, ancora in funzione fino ai lavori del 1875.
Roma da Castel s.Angelo durante la piena del 17-3-2011
Il rapporto fra la città ed il suo fiume è sempre stato strettissimo, ma non sempre idilliaco: il Tevere è un fiume che a differenza di quelli su cui sorgono altre grandi città, ha un regime torrentizio, con periodiche piene rovinose. Già gli storici dell’antichità avevano descritto le sue piene: Tacito parla di quella del 69 d.C., che distrusse il ponte Sublicio e provocò morti e carestia.
Se si passeggia per il centro di Roma si possono notare in diversi luoghi le lapidi che indicano il livello delle sue piene in secoli più recenti. Ogni volta i danni e le vittime erano ingenti, a ciò si aggiungevano i problemi igienici provocati dalle acque stagnati del fiume dentro la città. Gioacchino Belli in una sua poesia lo chiama “torpido, pigro e pregno di pacciume” e poi ancora “perfido aggirator di melma e loto”. Altro che la poetica immagine del biondo Tevere! Biondo sì, ma di melma e loto. Perfino la famosa fontana della Barcaccia di piazza di Spagna, eseguita da Pietro Bernini, coadiuvato dal figlio Gian Lorenzo, voleva ricordare una barca semisommersa dalla piena del 1598, una delle più disastrose, che causò tremila morti.
Tre mesi dopo la presa di Roma da parte dei bersaglieri, nel dicembre del 1870 un’alluvione disastrosa lasciò la città sommersa per giorni. Il giovane Stato italiano si trovò così a dover affrontare d’urgenza il problema in quella che era la nuova capitale.
Per l’occasione si mosse da Caprera anche Giuseppe Garibaldi, che era stato eletto deputato nel nuovo Parlamento. Si deliberò di istituire una commissione che esaminasse i progetti utili a difendere la città dai capricci del suo fiume. Alcuni di questi, fra cui quello presentato da Garibaldi, prevedevano addirittura lo spostamento del corso del fiume. Prevalse invece il progetto dell’ingegner Canevari: la costruzione di muraglioni d’argine, la rimozione dei mulini e degli altri ingombri che ostruivano la corrente, la regolazione dell’alveo a cento metri di larghezza. Nel progetto originale si prevedeva anche la soppressione dell’isola Tiberina, ma furono tante e tali le proteste che si eliminò questo aspetto e l’isola, cuore di Roma, fu salva!
I lavori iniziarono nel 1877 e durarono circa cinquanta anni ed i muraglioni, certo non belli a vedersi, tagliarono il rapporto del fiume con la città, ma risolsero il problema delle inondazioni, per lo meno nella zona centrale della città.
La piena del Tevere del 17-3-2011
Sui lungoteveri furono piantati i platani, che con la loro ampia chioma fanno ombra d’estate e ricoprono d’oro i muraglioni mitigandone la rigidità.
La piena del Tevere dell’autunno 2005 all’altezza dell’isola Tiberina