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40 anni di viaggi insieme

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Avevo poco più di vent’anni e una gran smania di viaggiare, esplorare posti nuovi, conoscere luoghi lontani. Un mio caro amico esasperato da questa mia impazienza di andare nella quale cercavo di coinvolgerlo un giorno mi disse: “Ho un amico che vuole sempre partire come te!” “E allora fammelo conoscere!” Me lo fece conoscere.
Qualche mese dopo partimmo per quello che fu il primo viaggio insieme, in quarant’anni non abbiamo mai smesso, neanche negli anni in cui nacquero i nostri figli, portati in viaggio a pochi mesi senza per questo essere marchiati da nessun trauma, ma solo dalla stessa passione per il viaggio.
Ma questo è il racconto di quel primo viaggio sulla piccola 500 da Roma attraverso l’Italia, fino a quella che allora si chiamava ancora Yugoslavia, fino a Rijeka-Fiume, era la fine di dicembre del 1974.
Per viaggiare non c’è bisogno di mezzi potenti, la nostra macchinina ci andava bene, per poter portare più bagagli, necessari se si viaggia con pochi soldi, avevamo tolto il sedile posteriore. La nostra attrezzatura per il freddo e la neve consisteva nel mio eschimo e nella sua vecchia giacca a vento che aveva visto tempi migliori. Avevamo anche le catene per la neve, ma al momento giusto si rivelarono troppo piccole e dovemmo legarle con lo spago provocando un mezzo ingorgo dei vacanzieri sloveni, perfino loro più ricchi di noi.
Chi si ricorda cosa voleva dire viaggiare con una cinquecento, senza servosterzo e servofreno che già a 90 km l’ora cominciava a vibrare tutta? L’aria condizionata non esisteva, ma attraverso il tettuccio che si apriva potevamo guardare il cielo. I finestrini si aprivano con la manovella e quando se ne rompeva la molla il salvifico cacciavite permetteva di tenere chiuso il finestrino prima che si racimolassero i soldi per farlo riparare.

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Il nostro bolide riuscì ad arrivare in serata a Chiusaforte, ormai a un passo dalla frontiera con l’Austria, da cui dovevamo passare per non pagare il bollo del passaporto. Poi finalmente la Yugoslavia, sembra un nome remoto, di un altro secolo ed in effetti lo è.
Il sistema di grotte del Carso sloveno ci affascinò, fiumi interi che vengono ingoiati dalla roccia e poi risorgono chilometri più a valle dopo un percorso sotterraneo tumultuoso e misterioso, enormi caverne ricche di concrezioni. Io ebbi la percezione tangibile di aver iniziato un’avventura emozionante.

L’anziana guida della grotta di San Canziano ci raccontò di aver vissuto in tre stati diversi, con tre lingue diverse senza spostarsi dal suo paese: prima l’impero austro-ungarico, poi l’Italia ed infine la Yugoslavia. Chissà se è vissuto abbastanza per allungare il suo elenco al quarto stato, la Slovenia.

Continuiammo il nostro viaggio in territorio carsico esplorando campi di doline verso Lubiana, Zagabria, poi lo splendido parco naturale di Plitvice, dove l’acqua calcarea è la signora incontrastata. Dalla zona interna sbucammo sulla costa e dall’alto di un passo ci apparve l’Adriatico, scendemmo a Senj ed era il tramonto.

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Poi la costa con le bellissime città veneziane, l’anfiteatro di Pola, Rijaka-Fiume, era inverno e ce le godemmo con calma, senza turisti.

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A volte dormivamo in decadenti alberghi che avevano mantenuto il loro fascino da Belle Epoque, i camerieri ci aiutavano con deferenza ad indossare l’eschimo e la giacca a vento, noi un po’ ci vergognavamo, un po’ ce la ridevamo.

Il ritorno fu piuttosto avventuroso, rimanemmo bloccati dalla neve sulle montagne del Carso sloveno la notte del 31 dicembre, con la batteria scarica e venimmo ospitati ed adottati da un gruppo di notabili di Nova Goriça che festeggiavano il capodanno in un paesino. La mattina dopo iniziammo il ritorno verso l’Italia, ma la riparazione dell’auto ci aveva prosciugato i pochi soldi rimasti e decidemmo di andare avanti fin dove la benzina ce lo avrebbe consentito. Non avevamo più soldi per mangiare, nè per un albergo, guidammo così tutta la notte, alternandoci, fermandoci per riposare in macchina solo fino a che il gelo ce lo consentiva.

Sfruttammo tutte le discese, procedemmo con un filo di acceleratore ed incredibilmente la macchinina ci portò fino a casa: aveva attraversato mezza Italia dal Tarvisio a Roma con un solo pieno di benzina!



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